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giovedì, Marzo 28, 2024
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Ocse: tra laureati e imprese rapporti non sempre facili

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Non è incoraggiante lo scenario che emerge dal rapporto Education at a glance 2019 dell’Ocse per quel che riguarda il rapporto tra il mondo accademico e quello del lavoro.

Due mondi che sembrano ancora troppo sconnessi e non in grado di compensare con l’apporto dell’uno i benefici dell’altro.

In un contesto globale altamente competitivo le aziende necessitano come il pane di competenza e qualifiche, che in Italia talvolta faticano a trovare. Anche perché studiare troppo a lungo per alzare l’asticella delle proprie qualifiche non è così conveniente come in molti altri Stati.

Certo, i laureati guadagnano il 39% in più dei diplomati, ma nella media mondiale la differenza è del 57%.

Per quanto riguarda il rapporto costi/benefici assicurato da un titolo di studio più elevato, il rendimento finanziario di un laureato italiano resta a inferiore rispetto agli altri Paesi Ocse: colpa della pesante tassazione sul lavoro.

Rispetto al reddito lordo accumulato dopo un’intera carriera di lavoro e togliendo i prelievi tributari e contributivi restano 190.600 dollari nelle tasche di un laureato e 154.200 in quelle di una laureata: due cifre che piazzano l’Italia al quartultimo posto totale, davanti soltanto a Belgio, Lettonia ed Estonia.

Passando al rapporto tra scelte formative e necessità di manodopera, l’Italia mantiene il passo degli altri paesi soltanto per i laureati in tecnologie informatiche e della comunicazione (con l’87% dei neo dottori che trova lavoro), in ingegneria, industria manifatturiera ed edilizia (85%).

Ma la percentuale crolla al 29% per i laureati in discipline artistiche e umanistiche, scienze sociali e giornalismo: trattasi di legittime aspirazioni individuali che, tuttavia, potrebbero cambiare se i giovani conoscessero in maniera più approfondita le esigenze del mercato del lavoro in fase di orientamento.

Perché una passione può nascere anche a partire da uno stimolo esterno, o dalla garanzia di un impiego sicuro dopo gli studi. Ma su questo il mondo della formazione in Italia deve lavorare ancora molto.

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