Tra le eccellenze campane che rischiano tantissimo dalla crisi economica generata dal coronavirus ritroviamo le pizzerie.
La crisi delle ultime settimane e la stretta finale sulle attività pubbliche decretata dal governo hanno messo in ginocchio un settore gastronomico riconosciuto quale eccellenza in tutto il mondo.
Inoltre, “l’Arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano” è stata riconosciuta come parte del patrimonio culturale dell’umanità , trasmesso di generazione in generazione e continuamente ricreato, in grado di fornire alla comunità un senso di identità e continuità e di promuovere il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana, secondo i criteri previsti dalla Convenzione Unesco del 2003. Si tratta di una pratica culinaria che comprende varie fasi, tra le quali la preparazione dell’impasto, un movimento rotatorio fatto dal pizzaiolo e la cottura nel forno a legna, il prodotto finale che arriva nelle nostre pizzerie.
Sono quindicimila gli esercizi che fanno pizza solo in Campania, molte a struttura familiare, tante sono vere e proprie aziende con 40, 50, anche 60 dipendenti. Per non parlare dell’indotto, i piccoli produttori agricoli che finalmente avevano trovato uno sbocco, pagato, alle loro merci di qualità .
La denuncia arriva anche dal noto giornalista campano Luciano Pignataro che ha raccolto il grido d’aiuto dei pizzaioli napoletani: “In questi giorni continuo a ricevere messaggi disperati. La categoria è vasta ma individualista, il mestiere non è neanche riconosciuto dalla pubblica istruzione. Il mestiere è sempre stato l’ultimo ripiego di quanti, nel Dopoguerra soprattutto, non avevano come far mangiare le proprie famiglie. I pizzaioli non hanno leader come Landini o Boccia che possono alzare il telefono e parlare con Conte. I parlamentari campani di questa situazione se ne stanno fottendo: bravi a farsi fotografare con la pizza nei tempi d’oro: dove sono ora. Stupisce questa cecità , questa incapacità di difendere quello che è stato lo scheletro, insieme ai ristoranti, della tenuta economica e sociale in Campania, la seconda regione più popolosa d’Italia, negli ultimi dieci anni.
I pizzaioli sono soli. Sono soli tanti ragazzi sposati con figli che avevano aperto da quattro, cinque anni e che hanno fitti e mutui da pagare, in ritardo con i fornitori. Sono soli i pizzaioli dipendenti, quelli che servivano ai tavoli. Sono soli quei pizzaioli che erano arrivati a questo mestiere dalla strada, da un’attività crollata per la crisi economica, rientrati dopo aver fatto i lavapiatti all’estero. Sono soli i grandi e i piccoli. Gli antichi e quelli di nuova generazione“.
Le richieste della categoria sono chiare e dettagliate. Tutte le pizzerie della Campania chiedono di:
- sospendere gli affitti dei locali e delle utenze di questi;
- eliminare le tasse dei mesi (marzo, e di quelli che verranno), comprensiva di IVA;
- la copertura dei fornitori e degli operai-dipendenti nei mesi di chiusura obbligatoria;
- un prestito a tasso zero da parte dello Stato per poter pagare i fornitori e i dipendenti alla ripresa.
Le pizzerie campane lanciano un allarme a tutta la classe politica. La Campania è la prima regione d’Italia per numero di aziende che produce pizza, pari al 14 per cento del settore. Le Regioni del Sud rappresentano oltre il 40% delle aziende e le regioni trainanti sono Campania, Sicilia, Puglia e Calabria che, insieme, occupano una fetta del 35% del comparto. I numeri dimostrano ampiamente che questo comparto è uno tra i più virtuosi dell’economia italiana. La produzione giornaliera, è di circa 8.000.000 di pizze al giorno per un totale di oltre 2 miliardi di pizze all’anno. I pizzaioli impiegati in queste attività sono circa 110.000, una cifra che arriva a 200.000 nei fine settimana. Il numero di attività che producono e vendono pizza in netta crescita nel Bel Paese: 128.248 ovvero + 1,1% sul 2018.
L’attuale crisi economica e il cambiamento dei consumi alimentari dei cittadini italiani, durante le ultime settimane, sta schiacciando il settore che chiede provvedimenti urgenti ed efficaci alle attuali istituzioni governative.