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La guerra in Ucraina mette un freno alla ripresa italiana

Confindustria rivede al ribasso le previsioni di crescita per il 2022

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Confindustria rivede al ribasso le previsioni di crescita dell’economia italiana per il 2022 dopo il conflitto esploso in Ucraina. Secondo gli ultimi dati riportati in uno studio dal titolo “L’economia italiana alla prova del conflitto in Ucraina“, l’andamento del Prodotto interno lordo italiano nel corso di quest’anno risulta meno favorevole di quanto stimato nelle ultime previsioni risalenti allo scorso mese di ottobre del 2021. Nel corrente anno si registrerebbe un incremento del PIL dell’1,9%, a cui farebbe seguito una crescita dell’1,6% nel 2023. In questo scenario peggiorato, il ritorno dell’Italia ai livelli pre-pandemia slitta dal secondo trimestre del 2022 al primo del 2023.

Tra le conseguenze della crisi russo-ucraina nel tessuto produttivo italiano, la principale è legata all’aumento dei prezzi energetici, agricoli e dei metalli. L’inasprimento delle tensioni sui mercati di queste commodity è dipeso dal fatto che Russia, Ucraina e Bielorussia ne sono tra i principali fornitori mondiali. Due esempi: la Russia nel 2020-21 ha esportato 38 milioni di tonnellate di grano, pari al 14,8% del totale mondiale ed è il 7° produttore al mondo di rame, con una quota pari al 3,8% del totale. Nel caso del gas, i mercati prezzano l’incertezza sugli approvvigionamenti in Europa, vista l’elevata dipendenza del continente dall’import russo di questa fonte. Per l’Italia, il gas russo copre il 38% del consumo. A inizio marzo il prezzo del gas è salito a un picco di 227 euro per mwh, rispetto ai 72 alla vigilia del conflitto, ai 20 di gennaio 2021 e ai 9 di febbraio 2020. Quello del petrolio a 133 dollari per barile, da 99 prima del conflitto e 55 a febbraio 2020, e da allora si è avuto un modesto rientro. Dinamica simile per molte altre commodity: il prezzo del grano è salito di oltre il 34% in due settimane e poi è sceso ma senza tornare al livello pre-guerra, quello del mais del 10%. Anche i metalli, come il rame, l’alluminio, il nickel, hanno subìto un incremento ulteriore a marzo.

In Italia, i rincari di petrolio, gas, carbone, stanno facendo crescere i costi delle imprese. Da un’analisi svolta con l’utilizzo delle tavole input-output, l’incidenza dei costi dell’energia sul totale dei costi di produzione (a parità delle voci di costo non energetiche) aumenterebbe del 77% per il totale dell’economia italiana, passando dal 4,6% nel periodo pre-pandemico (media 2018-19) all’8,2% nel 2022. In euro, questo impatto si tradurrebbe in una crescita della bolletta energetica italiana di 5,7 miliardi su base mensile, ovvero in un maggior onere di 68 miliardi su base annua. Il settore maggiormente colpito è di gran lunga la metallurgia, dove l’incidenza potrebbe sfiorare il 23% alla fine del 2022, seguito dalle produzioni legate ai minerali non metalliferi (prodotti refrattari, cemento, calcestruzzo, gesso, vetro, ceramiche), dove l’incidenza dei costi energetici potrebbe arrivare al 16%, dalle lavorazioni del legno (10%), dalla gomma-plastica (9%) e dalla produzione di carta (8%).

Le imprese hanno finora in gran parte assorbito nei propri margini, fino ad annullarli in alcuni casi, questi aumenti dei costi, invece di scaricarli sulle fasi successive della produzione. I margini erosi spiegano perché l’inflazione core in Italia è bassa, molto più che altrove. L’unico aspetto positivo è che questo andamento di prezzi e margini ha salvaguardato la competitività delle imprese italiane rispetto a quelle di altri paesi, ma non è sostenibile. Per questo diverse imprese stanno riducendo o fermando la produzione, o prevedono di farlo nei prossimi mesi.

D’altra parte, i rincari dei prezzi energetici (+52,9% annuo a marzo) comprimono il potere d’acquisto delle famiglie e ciò influirà sull’ampiezza e il ritmo di crescita dei consumi, il cui recupero è stato prima ostacolato dall’aumento dei contagi e ora anche dalla maggiore incertezza che influenza la fiducia, che a marzo è crollata. La normalizzazione della propensione al risparmio delle famiglie, ancora elevata nel 2021 (13,5% in media fino al terzo trimestre) appare quindi rinviata. Famiglie e imprese, infatti, saranno indotte a rivedere cautamente le proprie decisioni di consumo e di investimento. L’indice di incertezza della politica economica per l’Italia è salito del 21,1% nella media dei primi due mesi del 2022 rispetto al quarto trimestre del 2021 ed è destinato ad aumentare ulteriormente da marzo. Dopo il fallimento di Lehman Brothers era salito del 30,7%; dopo l’attacco alle Torri Gemelle dell’85,0%.

La guerra sta amplificando le difficoltà nel reperimento di materie prime e materiali, in particolare per quelli che provengono dai tre paesi coinvolti. Questi paesi detengono, infatti, una quota mondiale elevata di numerose commodity: carbone e altri minerali (argilla, utilizzata nella ceramica), metalli come nickel, platino, palladio e altri semilavorati in ferro e acciaio, input necessari per i comparti elettronico e automotive, e ancora grano, mais e olio di semi, utilizzati nell’industria alimentare. Ciò comporta, in primo luogo, uno shock concentrato in specifiche produzioni. In secondo luogo, poiché si tratta di input a monte delle catene globali del valore, utilizzati in numerose produzioni a valle, gli effetti di colli di bottiglia si amplificheranno lungo le filiere, fino ai beni di consumo e investimento.

Un altro impatto della guerra deriva da sanzioni e contro-sanzioni. L’impatto diretto delle sanzioni alla Russia, sull’export italiano, è complessivamente modesto. Il blocco riguarda 686 milioni di euro di vendite in Russia, pari all’8,9% dell’export italiano nel paese, che a sua volta rappresenta l’1,5% del totale dell’export italiano. Quello che preoccupa è che ci sono alcuni specifici prodotti italiani (ad esempio alcuni macchinari) per i quali il peso del mercato russo supera il 10%.

Ma l’export di beni è penalizzato dal conflitto anche perché questo tenderà a rafforzare le strozzature nella rete di approvvigionamento globale, già manifestatesi nel 2021. La specializzazione geografica dell’export italiano, più rivolta ai paesi della UE, non aiuterà; come anche la specializzazione merceologica del nostro export, in cui ad esempio conta molto il settore dei prodotti in metallo.

In questo quadro, anche gli effetti positivi derivanti dall’implementazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) sono a rischio, perché alcuni degli investimenti previsti potrebbero essere di difficile realizzazione ai prezzi attuali. Inoltre, la scarsità di vari materiali potrebbe rendere difficoltoso realizzare alcuni investimenti nei tempi previsti. È, quindi, probabile che alcuni progetti debbano essere rivisti alla luce del contesto attuale, affinché il Piano possa essere effettivamente implementato.

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